Togliere qualsiasi alibi a Bruxelles e ai partiti dell'”establishment” Ue e ridurre al minimo il rischio di una campagna elettorale in piena recessione. Dietro la svolta, finora solo orale, di Luigi Di Maio e Matteo Salvini sul tetto del 2.4 c’è anche e soprattutto un ragionamento politico. Ed è un ragionamento che guarda alla battaglia elettorale a cui M5S e Lega si stanno preparando: quella delle europee.
Per i due alleati sarà quella una cartina di tornasole cruciale per misurare i rapporti di forza. Anche per questo, una volta recepito dall’Ue che, senza un’apertura sul deficit la procedura d’infrazione sarebbe stata certa e indifferibile, Di Maio e Salvini hanno fatto due calcoli arrivando sostanzialmente ad una conclusione: meglio rinunciare a 3.6 miliardi (pari allo 0.2% del Pil) e arrivare a maggio senza la zavorra di sanzioni Ue e spread eventualmente fuori controllo che insistere sul 2.4. Con un’appendice: è parso evidente, a Salvini, che nella sua battaglia sulla manovra non avrebbe avuto alcun apporto dai suoi potenziali alleati sovranisti, pienamente allineati ai “falchi” del rigore.
“La commissione Ue è fatta di politici, e sono tutti politici lontanissimi da noi. Se vogliono che cambiamo un numero, glielo concediamo”, spiega, qualche ora prima del vertice di Palazzo Chigi convocato sulla manovra, un membro M5S del governo. La partita resta tuttavia più aperta che mai sebbene dall’ala moderata del governo – dal premier Giuseppe Conte a Giovanni Tria fino a Giancarlo Giorgetti – filtri una certa urgenza nel mettere nero su bianco quel calo del deficit/pil al 2.2 finora solo ipotizzato. Per farlo serve sostanzialmente una modifica del def e una nuova risoluzione della maggioranze. C’è prima un nodo da definire. Come “rimodulare” le due misure chiave – reddito di cittadinanza e quota 100 – alla luce del calo del deficit/pil e dell’eventuale spostamento di uno-due miliardi sugli investimenti. Ed è il reddito di cittadinanza a finire nel mirino con la Lega che non disdegnerebbe affatto un cambio radicale della misura, volgendola tutta alle imprese, e Di Maio che non può permettersi un simile dietrofront.
E’ su questo punto che Salvini e Di Maio sono chiamati a trovare l’ennesimo compromesso e il leader M5S, non a caso, prima della riunione di governo vede Domenico Parisi, il docente italo-americano che, in Mississippi, ha rivoluzionato i centri per l’impiego creando un modello che il vicepremier vorrebbe importare in Italia. Per quanto riguarda le nomine nei prossimi giorni potrebbe esserci un’accelerazione, con la presidenza Antitrust (sulla quale decidono i presidenti di Camera e Senato) che potrebbe finire alla giudice Marina Tavassi, sostenuta dalla Lega “riaprendo”, così, la possibilità che Marcello Minenna guidi la Consob. E nello schema nomine rientra anche l’Istat, sulla quale a decidere sono le commissioni affari aostituzionali a maggioranza di 2/3. Tradotto: per il successore di Giorgio Alleva dovrà servire probabilmente l’ok di FI.
La retromarcia di Lega e M5S sul deficit è stata accolta positivamente da Renzi, che ha spiegato: “Bene che il governo abbia cambiato idea. Hanno fatto la retromarcia del popolo: ora però devono cambiare le misure. No ai soldi per chi sta sul divano col reddito di cittadinanza, mettiamo i soldi sul lavoro e lottiamo contro l’evasione, l’illegalità, il lavoro in nero, gli abusi edilizi. Altro che condoni che vediamo in queste ore”.