In un’intervista di ieri a Repubblica Dario Franceschini ha proposto di andare alle europee con un listone che abbia “un nome nuovo” e che rappresenti “il campo largo europeista e di opposizione a questo governo”. L’ex ministro ha fatto notare “il risveglio dell’opinione pubblica: la manifestazione antirazzista di Milano, la solidarietà a Mimmo Lucano, l’iniziativa della società civile contro la disastrosa amministrazione di Roma: sono segnali da raccogliere e contrapporre al governo Salvini-Di Maio, molto più pericoloso di Berlusconi”. E soprattutto ha indicato in Zingaretti il candidato giusto per mettere in piedi una coalizione.
Bene, Franceschini dice una cosa parzialmente giusta, ossia che con lo sbarramento del 4 per cento il Pd deve lavorare per ospitare vari alleati europeisti anche se non è facile eleggerli perché poi, solo in Italia, ci sono le preferenze. Poi dice però due cose sbagliate: che tutti dovrebbero convergere su un candidato, Zingaretti, che palesemente non ha capacità espansiva fuori dai già votanti per il centrosinistra, ma soprattutto critica solo Salvini e non anche il M5S. Il che la dice lunga sulle ipotesi di possibili alleanze. Del resto Franceschini è coerente con quanto sostenne dopo il voto, ossia che occorresse fare l’alleato minore del M5S.