di Romano Contromano
Zingaretti s’agghinda a protagonista del “nuovo Pd”, unico aspirante ufficiale alla segreteria, occultando il suo pensiero dietro nuvole di fumo e rinviando a data incerta la rappresentazione concreta della sua proposta politica. Parla di errori compiuti, senza spiegare cosa vede lui alla base di questi errori. In sostanza, cosa avrebbe dovuto fare il Pd per non perdere il referendum e non soccombere alle amministrative e poi, il 4 marzo scorso, alle politiche? Zingaretti non lo dice.
L’unico fatto incontestabile, per ora, è che nel congresso regionale del Lazio fatica a imporre la sua leadership. Addirittura, a Roma, i dati finora raccolti parlano di una vera e propria batosta. A prevalere sarebbe Claudio Mancini, vicino a Minniti e sostenuto dall’area popolare (Fioroni-Gasbarra), la cui immagine diverrebbe agli occhi del popolo “democrat” alquanto prossima al piccolo David che sconfigge il gigante Golia. Tutto il potere della corrente legata al Presidente della Regione – un servizio giornalistico ha messo in mostra la pervasività del “sistema Zingaretti” – non basterebbe dunque a orientare e convincere la maggioranza degli iscritti del partito di Roma.
È un brutto segnale. Per questo le dichiarazioni ultime sembrano più nette, anzi più aggressive, come a definire un profilo di candidato nerboruto, pronto alla lotta, deciso a tutto. Anche a declinare l’invito a farsi da parte per puntare al Campidoglio, contro la Raggi. Ma ieri, nell’intervista al “Corriere della Sera”, ha calato l’asso della sua strategia d’attacco, scoprendosi filo-grillino. Ha infatti aperto a 5 Stelle, nonostante le critiche severe all’attuale prima inquilina di Palazzo Senatorio.
Le parole indirizzate ai pentastellati suonano però come una esplicita dichiarazione d’amore: “Quello che non capisco è perché i 5 Stelle siano complici e vittime di questo disegno [di Salvini]”.Zingaretti usa lo zuccherino. Tuttavia, come si giustifica questa duplice lettura, in sé contraddittoria, che contempla la denuncia del “grillismo reale” (Raggi) e il vezzeggiamento del “grillismo ideale” (Di Maio)? È altamente probabile che non si giustifichi, essendo un paradosso che cade nell’artificio furbesco è deleterio.
Su questa linea, così tratteggiata dal “candidato” Zingaretti, il Pd rischia il tracollo. Non si riconquista l’elettorato deluso con simili manifestazioni di ambiguità. Per un partito già molto logorato e infragilito la cura filo-grillina porterebbe diritto alla sua dissoluzione. Altro che rinnovamento…