I gravissimi fatti accaduti l’altro pomeriggio presso la sede del Pd – un autorevole rappresentante della componente renziana è stato colpito in testa con una bottigliata – vengono stigmatizzati dal commissario provinciale Andrea Rossi, che minaccia di sospendere il tesseramento, non senza sottolineare il danno di immagine causato da chi non sa tenere le mani al loro posto. A complicare la situazione il fatto, assolutamente non secondario, che si è arrivati a tanto dopo la decisione dei probiviri regionali di sospendere per sei mesi Enrico Panunzi e Alessandro Mazzoli e per due anni Francesco Serra e tutti i candidati alle comunali presenti nelle liste alternative a quelle ufficiali. Decisione ovvia, prevista dallo statuto, come tale inevitabile e contro la quale non è prevista possibilità di ricorso (specifichiamo quest’ultimo punto per dire che quanto va dicendo in giro Panunzi, cioè che, bontà sua, non ha intenzione di opporsi al provvedimento, non deriva in realtà da una sua soggettiva volontà, piuttosto da quella oggettiva realtà costituita dalle norme del partito che nessuno, lui compreso visto che non è il Padreterno, può violare).
Detto ciò, alla luce delle polemiche di queste ore, si rendono necessarie alcune considerazioni. Panunzi & C. si lamentano per la durezza dei probiviri e, nel giustificare la presentazione di liste di dissidenti alle comunali di giugno, sostengono che lo strappo è stato causato dalla scelta, non condivisa, del candidato a sindaco. Bene, peccato però che non dicano che, in assenza di un accordo unitario, da che mondo e mondo in tutte le organizzazioni democratiche decide la maggioranza. Se così non fosse ci sarebbe il caos: pensate a cosa accadrebbe in un Paese se, dopo le elezioni, chi ha perso si rifiutasse di riconoscere la vittoria a chi ha preso più voti. Come minimo scoppierebbe una guerra civile.
Dunque, nel nostro caso il caos si è verificato proprio perché la minoranza, non potendo imporre la propria volontà, si è chiamata autonomamente fuori non riconoscendo le prerogative che le dinamiche della democrazia interna riservano alla maggioranza. Questa è la verità. Tutto il resto è ricostruzione fantastica, o distorsione, di fatti limpidi e cristallini. I ragionamenti di Panunzi & C. risultano oltretutto ancora più irreali se si pensa che loro, vinte le elezioni regionali (nel senso che Panunzi è stato riconfermato consigliere), si sono comportati molto peggio di quanto rimproverino agli altri per la scelta del candidato a sindaco non condiviso. Senza tenere in nessuna considerazione l’area (renziana) che ha espresso il candidato alla Pisana che ha preso meno preferenze, hanno fatto infatti incetta di cariche e poltrone, arrivando a nominare addirittura un assessore esterno. Questo sì che è stato un atto di forza di una violenza inaudita e non si può d’altra parte non ricordargli che al raggiungimento del quoziente che ha fatto scattare il seggio di Panunzi ha contribuito quasi per il 50 per cento la candidata (Luisa Ciambella) che non è stata eletta.
Morale: di che parliamo? Con quale faccia tosta si continua a insistere sulla candidatura non condivisa di Luisa Ciambella? Non si tratta forse della stessa Ciambella che con i suoi voti ha permesso a Panunzi di continuare a tenere il culo appiccicato su quella poltrona? Ma veramente l’attuale consigliere regionale e i suoi sodali credono che tutti abbiano l’anello al naso? Può davvero pensare, Zingaretti, che questa è la strada giusta per conquistare la segreteria nazionale?
Per concludere, una cosa sola a questo punto è evidente: il Pd è stato ucciso dall’arroganza e dalla prepotenza di taluni che vorrebbero comandare sia da una posizione maggioritaria, sia da una posizione minoritaria. Difficile perciò risanare i danni causati. L’unica speranza è un lungo periodo di commissariamento guidato da Roma e rappresentato da qualcuno che sappia ricondurre alla ragione che in questo momento sragiona.