Un grande successo di pubblico ieri al Palazzo Ducale di Genova in occasione della presentazione del volume di Giuseppe Fioroni Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta, volume che giovedì sarà presentato in Senato.
Qualcuno si faccia avanti, si assuma la responsabilità di parlare, perché “il caso non è chiuso”. E’ questo il messaggio che trasmette al lettore – cui si forniscono tantissimi elementi che motivano questa richiesta – il libro dedicato alla vicenda che più di tutte ha segnato l’Italia repubblicana, con la tragica fine di Aldo Moro, l’artefice del centrosinistra che puntava al compromesso storico con Enrico Berlinguer, leader del Pci. Con il volume (Lindau Editore, Collana “I Draghi”, pp. 272), si cerca di ricomporre il puzzle di quello che è stato “un omicidio che ha fatto saltare il progetto di rigenerazione del sistema democratico del nostro Paese, e che avrebbe fatto iniziare la Seconda Repubblica”, come spiega all’AdnKronos proprio l’ex ministro per la pubblica istruzione, a capo, nella precedente legislatura, della commissione incaricata di indagare sulla fine del leader della Dc. Per Fioroni “a 40 anni dalla scomparsa di Moro le verità appurate dalla commissione meritavano di essere divulgate e diffuse”. Da qui nasce l’esigenza di scrivere il libro: “Dopo quattro anni di lavoro – ricorda l’ex parlamentare dem – con tre relazioni approvate all’unanimità dal Parlamento, a testimonianza di un lavoro serio e importante, è seguita la congiura del silenzio sui risultati raggiunti”.
“Abbiamo dimostrato che il memoriale Morucci – ha spiegato Fioroni a Genova – più che un memoriale è un dossier scritto ‘anche’ da Morucci, ma al termine di una lunga trattativa politico giudiziaria, partita nell’84 che circoscrive il perimetro delle verità dicibili sul caso Moro”. Una sorta di testo concordato “che ha consentito a pochi di assumersi la responsabilità di molti”, puntando a una sorta di accordo che “ha permesso di interrompere la scia di sangue di quegli anni terribili”.
Fioroni mette in fila tutte le incongruenze dei 55 giorni, che vanno dal 16 marzo del ’78, giorno della strage della scorta e del rapimento di Moro, fino all’epilogo del 9 maggio, con il corpo di Moro abbandonato nella R4 rossa di via Caetani: “Dalle ricostruzioni non vere di quanto avvenne a via Fani – sottolinea riferendosi a quanto affermato nel memoriale Morucci – con il superkiller presunto, alla negazione della presenza di uomini della Raf, alla negazione del garage ‘compiacente’ in via Massimi 91, al presunto epilogo di via Montalcini 8, dove abbiamo dimostrato grazie ai Ris che Moro non è stato ucciso come hanno raccontato i terroristi”.
Dopo tutto questo per Fioroni “non è possibile che chi ha ammazzato Moro, guardandolo negli occhi, con tre colpi a bruciapelo e poi altri 9, lasciandolo agonizzante tra 15 e 40 minuti, possa continuare a dare versioni confuse e contraddittorie, come fatto da Moretti, Maccari, Gallinari e Braghetti” perché “se si contraddicono tra loro significa che non sono stati loro a commettere l’omicidio, ma, certo, sanno chi lo ha fatto”.
Ogni capitolo della vicenda, anzi quasi ogni singolo giorno merita di essere riscritto: “Ritengo che a 40 anni di distanza chi ha beneficiato di leggi sui pentiti e di trattamenti giudiziari di favore debba sentire il dover morale di dire la verità, piuttosto che continuare a fare la star, senza pagare il proprio debito con l’Italia e con la storia”, aggiunge Fioroni, riferendosi ai brigatisti dell”operazione Fritz’ (il nome in codice dell’operazione Moro), a partire da Mario Moretti.
“Il libro lo presentiamo giovedì 4 ottobre al Senato alla sala Koch, un luogo in cui vengono presentati solitamente non i libri, ma i rapporti ufficiali, perché la Casellati dà un riconoscimento al lavoro svolto dalla commissione”, aggiunge la coautrice Maria Antonietta Calabrò: “E non è un caso che lo facciamo a pochi giorni dalla canonizzazione di Paolo VI che verrà proclamato santo il prossimo 14 ottobre”. La giornalista ricorda il ruolo svolto dal Papa Montini, che era amico personale di Moro, durante il sequestro: “Nel libro – ricorda – ben tre capitoli sono dedicati ai rapporti tra la vicenda Moro e il mondo vaticano”. “La commissione, tra le altre cose, ha provato l’esistenza di una trattativa vaticana per salvare Moro che si svolgeva a Castelgandolfo, abbiamo ora la prova che era pronto un riscatto di 10 miliardi di lire, messi a disposizione da un imprenditore israeliano, altro che soldi dello Ior”.