di Roberto Di Giovan Paolo*
Basta una telefonata per scoprire il carattere eversivo del governo giallo-verde oggi al comando. Non fermiamoci al dito di Casalino ma guardiamo alla luna del pensiero che vuole cancellare la democrazia rappresentativa e la lealtà dell’amministrazione allo Stato ed ai suoi cittadini. Questo audio in cui il portavoce nonché capo ufficio stampa della presidenza del consiglio Rocco Casalino elargisce consigli su come pubblicare una notizia, e quale notizia pubblicare e anche quali fonti indicare è molto interessante per una riflessione su quello che è il dito e quale la luna indicata dal dito, nell’attuale agone politico.
Innanzitutto la prima notazione è sulla mentalità con cui è svolto un lavoro che in teoria mette assieme, a mio avviso in maniera sbagliata, il ruolo di capo ufficio stampa ovvero di colui che deve dare le notizie che riguardano la presidenza del consiglio a tutti i media in maniera imparziale con il ruolo invece del portavoce, che necessariamente è legato a doppio filo con l’impostazione politica e le scelte della presidenza del consiglio, in questo caso, ma che vale ovviamente per tutti gli altri casi in cui un portavoce è oggettivamente legato alle scelte politiche di colui che rappresenta.
Mi pare ben rappresentativo della differenza tra ciò che è politica e ciò che è moralismo il dibattito che si è sviluppato sulla “quotazione di mercato” di Rocco Casalino che pare sia di 170 mila euro annui e che francamente da questo punto di vista non m’interessa. Né m’interessa sapere che prima di lui sia stato fatto lo stesso dal suo predecessore, per poter rovesciare il discorso anche sul passato.
Il nodo vero, quello politico, che riguarda ancora però la questione del dito che indica la luna, è che oggi il presidente del consiglio non è un parlamentare e quindi non assomma (se vuole, altri non l’hanno fatto….) l’indennità da parlamentare a quella del presidente del consiglio ed è quindi questo il motivo per cui in il portavoce capufficio stampa Rocco Casalino abbia oggi un emolumento maggiore di quello del presidente del consiglio di cui egli è portavoce e capoufficio stampa.
Il discorso se fosse solo questo, di tipo economico, andrebbe allargato a moltissimi altri dirigenti dello Stato, della presidenza del consiglio e di tutti gli organi dello Stato, soprattutto per ragionare se a fianco degli emolumenti, che rappresentano e hanno rappresentato, negli anni, una parifica di qualità economica a funzioni di tipo privatistico abbiano poi avuto un corrispettivo dal punto di vista della presa in carico di responsabilità.
Faccio un esempio concreto che è relativo a fatti di attualità: la legge per non lasciare in carcere i bambini con le madri che sono state condannate è stata approvata all’incirca nel 2011 ma per quasi tre anni questa legge non è stata applicata perché i dirigenti che dovevano al ministero della giustizia occuparsi di come far funzionare la legge, cioè trovare le case famiglia per raccogliere un numero ristretto che assommava circa a cinquanta ragazzi e alle loro madri in una condizione diversa da quella di farli crescere tra le sbarre, non si assumevano la responsabilità amministrativa.
Ciò ha anche dimostrato che in alcuni casi la politica fa il suo mestiere ma l’amministrazione non la segue. Il che ha portato alle conseguenze di questi giorni del caso drammatico e tragico di Rebibbia per il quale noi scopriamo che a distanza di sette anni dalla legge approvata dai due rami del parlamento ancora una cinquantina di ragazzi crescono con le loro madri tra le sbarre come se il parlamento non avesse dibattuto e deciso sull’argomento, a causa di ritardi burocratici e di situazioni che riguardano l’amministrazione della giustizia e non scelte politiche sull’amministrazione della giustizia.
In questo caso, per esempio, bisognerebbe chiedere conto del fatto che alcuni dirigenti che hanno la responsabilità di queste scelte e della loro attuazione legislativa a fronte di un emolumento di tipo privatistico da manager di grande azienda non s’assumano poi la responsabilità se non quando hanno le “spalle coperte” dal punto di vista politico.
L’accento sulla questione semplicemente economica risponde ai criteri di demagogia che in questi anni hanno imperversato, traducendo onestà e risparmio con provvedimenti che hanno contribuito spesso a una eterogenesi dei fini, si pensi solo al proliferare di fondazioni personali e personalistiche a caccia di soldi al posto di un finanziamento pubblico della politica che poteva essere ben riformato.
Altri esempi di questo tipo sarebbero moltissimi ma non voglio di dilungarmi perché fanno parte di un’altra questione. Qui siamo per l’appunto solamente al dito che indica la luna, non la luna stessa.
Se si riuscisse ad andare oltre, quindi occuparci della luna, cioè della politica… bene, l’idea della politica e del ruolo dello stato e degli apparati amministrativi che viene fuori da questa telefonata del portavoce capo ufficio stampa della presidenza del consiglio Casalino, andrebbe davvero a dover essere presa in considerazione come mirabile esempio: un’idea per la quale gli apparati dello stato sono o inutili o pletorici o da combattere.
È un’idea semi dittatoriale per la quale gli apparati dello stato non hanno un vero ruolo e devono semplicemente essere servi della politica. Un’idea che è stata combattuta per anni e che aveva portato al distacco del ruolo e delle funzioni tra le scelte politiche e quelle invece dell’amministrazione, che in realtà ha il fine di garantire la continuità dello stato e del suo ordinamento indipendentemente dalle maggioranze politiche che volta in volta vengono formate a seguito delle elezioni politiche.
Nella telefonata Casalino dice chiaramente che se il reddito di cittadinanza non verrà realizzato dotandolo delle adeguate coperture per le resistenze dell’amministrazione, presumibilmente del ministero delle finanze Mef, evidentemente sarà una colpa lieve di Tria (e quindi la responsabilità politica dei ministri della repubblica dove finisce?) e una colpa molto grave da far pagare a tutti quelli che all’interno del ministero si opporranno a questa scelta.
Insomma, si dice che sostanzialmente gli organi dello stato ovvero l’apparato pubblico amministrativo che è tenuto per dovere costituzionale alla lealtà allo stato e quindi alla lealtà al controllo dei conti, alla lealtà anche nel dire le opinioni e le ragioni per cui vanno trovate le coperture finanziarie alla politica dovrebbe farsi da parte e ricusare l’impegno e se volete il giuramento di fedeltà alle istituzioni e alle sue leggi per seguire semplicemente le scelte che di volta in volta la politica fa con la sua cangiante maggioranza.
Queste affermazioni sono gravi per un doppio ordine di problemi: il primo, di tipo istituzionale, perché stravolge le istituzioni e se così fosse sostanzialmente realizzerebbe l’idea che lo stato è semplicemente la rappresentazione delle elezioni politiche e non la continuità di un ordinamento costituzionale, delle sue leggi e consuetudini e delle modalità di comportamento corrette che debbono esserci al di là di ogni colore politico. E poi perché nega le ragioni stesse della politica che sono esattamente quelle di trovare soluzioni possibili nelle condizioni date e avendo di fronte una fotografia reale delle difficoltà da affrontare per cui il lavoro dei funzionari dell’amministrazione dello stato in realtà non risulta solo difficoltoso ma anche utile a capire i limiti e le condizioni attraverso cui si fanno le proprie scelte politiche.
Ovviamente quest’interpretazione delle relazioni politiche e del ruolo degli apparati dello Stato e del suo ordinamento non può che essere consona all’idea che Casalino e i suoi mentori della Casaleggio associati hanno nel momento in cui prospettano che le democrazie rappresentative sono a un capolinea e che vorrebbero quindi passare ad un regime di cosiddetto “direttismo”. Che non prevede ci sia alcuna opposizione politica, da parte di coloro che hanno perso le elezioni, e amministrativa, da parte di coloro che debbono prima di tutto fedeltà all’ordinamento dello stato.
Beninteso non stiamo parlando dell’omnicrazia gandhiana che prevedeva la lotta politica attraverso e se necessario con le regole che lo stato ha predisposto e che magari vanno superate e cambiate ma partire dalle regole stesse, accettando quindi lo stato dell’arte dell’ordinamento delle leggi e dell’amministrazione statale.
Ammesso e non concesso che ci sia qualche parentela tra il direttismo di Casaleggio e l’utilità dell’omnicrazia gandhiana, ci sono fior di volumi e di storie concrete di attivismo politico che dimostrano come la disobbedienza civile, persino la disobbedienza civile, passa attraverso il pieno rispetto delle regole proprio per mettere in evidenza eventuali incongruenze e contraddizioni.
Ma questo nonostante laurea e conoscenza delle lingue è qualcosa che va oltre i confini di pensiero di Casalino, Casaleggio e dei suoi seguaci. E tuttavia proprio questo dà il senso di una tendenza eversiva che il Movimento Cinque Stelle ha introiettato in questi anni e che non deriva solamente da se stessa ma anche da movimenti politici precedenti, e che rimane davvero l’unico punto di contatto anzi direi il punto centrale, nodale d’incontro al governo con la destra altrettanto lepenianamente eversiva della Lega di Salvini.
articolo tratto da Ytali.com