
Diciamo subito che non c’è nessuna conferma ufficiale, ma la voce, in un crescendo di preoccupazione e sbigottimento, gira da qualche giorno insistente in molte parrocchie della vasta diocesi di Civita Castellana, che comprende, oltre al distretto sud della Tuscia, un’ampia fetta della provincia di Roma.
In poche parole: le chiese e le cattedrali dei paesi che a livello religioso ricadono sotto la giurisdizione amministrativa che fa capo al vescovo Romano Rossi potrebbero presto veder partire per sempre alcune delle opere d’arte di cui sono ricche. Destinazione di tutto questo “ben di Dio” sarebbe Palazzo Doebbing, neonato museo di Sutri, venduto dai distratti media viterbesi come fosse una creatura della locale amministrazione comunale, quando in realtà è tutta roba della curia.
Di fatto, nell’eco mediatica sollevata dall’inaugurazione della bella e grande sede espositiva con annesse mostre di arte sacra e contemporanea, si sono perse di vista le vere coordinate dell’operazione: ossia, che a far restaurare il palazzo è stato proprio monsignor Romano Rossi; che la sua apertura era in programma da mesi, cioè da molto prima che si potesse solo immaginare l’arrivo del noto critico d’arte alla guida del Comune sutrino; e che la decisione di esporre al pubblico le opere delle chiese diocesane parte da lontano come veicolo di promozione della location. Sgarbi per certi versi è stata la ciliegina sulla torta, capitata a fagiolo, un ottimo veicolo di promozione, ma la curia i suoi progetti, collegati all’esigenza di mettere a reddito e tutelare il proprio patrimonio (per entrare al museo si paga già un biglietto di 8 euro), li aveva ben in mente a prescindere da lui.
Adesso la paura di molte comunità locali, dove alcuni stanno già pensando di costituire comitati o altri organismi di rappresentanza, è che a gennaio, quando chiuderà la mostra inaugurata la settimana scorsa, alcune opere esposte possano essere trattenute per arredare in pianta stabile le sale del Doebbing. Mentre altre, quelle che non sono state utilizzate per l’occasione (tra l’altro si tratterebbe delle più importanti), potrebbero quanto prima esservi trasferite con la scusa (probabilmente anche fondata) che lì sarebbero meglio tutelate dal degrado o da eventuali tentativi di furto. Il problema però è che si tratta di manufatti (per lo più dipinti) a cui da secoli è fortemente connessa la devozione delle comunità di riferimento, senza considerare che – per quanto minimo esso sia – rivestono anche un ruolo di attrazione turistica. Da qui il crescente malumore che serpeggia da Vallerano a Formello, da Capranica a Capena, passando per Nepi, Orte, Vignanello, Carbognano, Caprarola, Bassano Romano, Ronciglione, Morlupo, Nazzano, Ponzano o Manziana tanto per fare alcuni nomi dei comuni interessati.
Da notare che la diocesi di Civita Castellana per estensione territoriale, ossia per bacino di popolazione e posizione geografica, è forse anche più importante di quella di Viterbo. Ha già un museo di arte sacra a Orte, ma quello di Sutri, data la vicinanza con Roma, sarebbe tutta un’altra cosa. A maggior ragione, poi, se, per “grazia ricevuta”, ti ritrovi uno come Sgarbi a farti da testimonial.
L’ultima parola in ogni caso, al di là delle volontà della curia e di Sgarbi, spetterebbe alla Sovrintendenza.

