Viterbo città dei papi e soprattutto città di Santa Rosa, giovane eroina della fede, della libertà, dell’amore per il prossimo: chi non conosce il miracolo dei pani trasformati in rose, del pane per i poveri, gli ultimi e gli emarginati? Chi non la ricorda sfidare le ipocrisie, le norme, l’indifferenza e perfino i richiami del padre pur di fare l’elemosina a chi aveva bisogno? E poi… Viterbo città di San Crispino, il frate umile che viveva di elemosina alla perenne ricerca di mezzi per sfamare chi aveva fame.
Questa è l’identità di Viterbo, una città solidale che crede nella solidarietà e che la pratica. La città del Festival del volontariato, delle tante associazioni che lavorano per i bisogni degli ultimi, la città di “Viterbo con amore”, dell’emporio solidale e delle meravigliose Caritas parrocchiali, delle mense e dei dormitori.
Viterbo è una città dove la carità ha sempre trovato spazio, non nelle parole, ma nei fatti, eppure adesso è salita alla ribalta nazionale per le sciocchezze di chi vuole punire chi fa l’elemosina o chi la chiede per sopravvivere. Lo chiamano accattonaggio molesto: ma cos’è che ci molesta, il prendere atto che ci sono uomini e donne stremati dalla fame e dal bisogno che porgono la mano in cerca di aiuto? Ci molesta il fatto che nella società del consumo e del superfluo non si riesce a nascondere i tanti che vivono ai margini? Ci molesta il dover prendere atto che la nostra rete di protezione, cioè i servizi sociali, al di là degli annunci di milioni a pioggia che dovrebbero arrivare, non riesce a garantire cibo, letto e cure a chi non ha nulla e vive di stenti? Ci molesta che, al di là dello slogan “prima di tutto gli italiani”, gli italiani poveri e indigenti sono tanti e non starebbero meglio se puniamo gli immigrati?
La verità è che i bisogni di questi italiani sfortunati, al di là degli slogan, restano anche se si combattono gli stranieri. I bisogni non scompaiano nascondendo la povertà, vietando le richieste di aiuto o punendo chi fa elemosina. Questa scellerata proposta ha reso ridicola Viterbo, ci ha dipinto a livello nazionale come una città tra le più razziste. Bene, di fronte a queste proposte assurde non possiamo far finta di niente: l’indignazione delle coscienze è un dovere morale per tutti e lo è ancora di più per i credenti, che non possono continuare a tacere. Sappiano, i credenti, che il silenzio in questo momento storico è connivenza anche a Viterbo con la cultura ipocrita e razzista che qualcuno vuole diffondere. I divieti scellerati vanno combattuti prima che si attuino, cioè quando vengono annunciati, non prendere posizione immediatamente significa fare come Ponzio Pilato.
Non bisogna avere paura di metterci la faccia. Non si può, per dirla con papà Francesco, essere cristiani a parole e non nella vita e nei fatti. Una città che vuole multare carità ed elemosina e che accetta supinamente i manifesti sui portoni delle case dove abitano gli stranieri è una città che rinnega i propri valori, le proprie radici e la propria storia. In certi periodi bui si metteva fuori le case la stella di David per segnalare la diversità e la necessità di marginalizzare chi ci viveva: sappiamo come è finita.
Questa Viterbo così smarrita, impaurita, chiusa e razzista non è la vera Viterbo all’altezza della sua tradizione e della sua fede. Cogliamo l’occasione del 3 settembre per dimostrare che non siamo così, per fare cioè dell’accoglienza ai poveri, agli ultimi e ai diversi la cifra della nostra comunità. Il Sodalizio dei facchini, come sempre attento ai bisogni degli ultimi, trovi il modo di impegnarsi su questo fronte. La candida veste dei cavalieri di Rosa non può essere offuscata dall’immagine distorta della città che si è affermata a livello nazionale e dunque per il 3 settembre Viterbo riscopra la voglia di essere tutta di un sentimento. Con Santa Rosa, gli ultimi e i poveri.