Non c’è dubbio: protagonista in Comune in questo avvio di legislatura è l’assessore leghista Claudia Nunzi. Che, andando a toccare temi molto di “tendenza”, finisce inevitabilmente sotto i riflettori. Prima con i controlli contro i selvaggi del parcheggio nelle piazze riservate alla movida, durati un po’ di sere e poi misteriosamente annullati; poi con quelli sui venditori abusivi; e adesso con quelli contro i panni stessi e addirittura contro chi chiede e fa l’elemosina.
A chi le dà e a chi le promette, la giovane amministratrice, che però, al di là del fumo, finora di arrosto ne ha cucinato ben poco (per la felicità dei colleghi che possono così permettersi il lusso di non fare nulla lasciando a lei l’onore di sporcarsi le mani). Il problema è che il Comune non ha, né può assumere, tutti i vigili che servirebbero per fare tante cose insieme, senza considerare che, essendo Viterbo una città dello Stato italiano e non uno Stato autonomo, le leggi a cui attenersi sono quelle della Repubblica e non dell’antico Stato pontificio. La Nunzi pertanto sbaglia quando, dimenticandosi di ricoprire un incarico istituzionale, dà sfogo a tutta la sua fantasia senza rendersi conto che lo Stato di diritto è una cosa e lo Stato dei sogni è un’altra cosa, per cui non si capisce come possa impedire a qualcuno di fare l’elemosina, o viceversa come possa pretendere di arrestare chi la chiede.
L’opinione pubblica, di fronte a ciò, si divide, ma in generale emerge una buona dose di ipocrisia in tutti i protagonisti di questo assai rurale racconto di una città dove ognuno, per dirla con le parole di San Matteo, guarda la pagliuzza negli occhi altrui senza curarsi della trave che è nei propri. E così tutti contro i neri, ospitati però in nero nelle loro case, con la Nunzi, espressione di questo racconto in quanto votata da chi lo scrive, che si lascia trasportare dall’onda ben contenta di finire in prima pagina.