“Il glifosato è cancerogeno”. Dalla California alla Tuscia: potrebbe avere effetti anche da noi la sentenza con la quale un tribunale americano ha riconosciuto a un giardiniere di 46 anni un maxi risarcimento da parte della multinazionale Monsanto: quasi 300 milioni di dollari come indennizzo per aver contratto un linfoma non-Hodking in seguito all’uso di due erbicidi a base di glifosato, sostanza della cui pericolosità non sarebbe stato adeguatamente informato.
Nella Tuscia, dove l’impiego del glisofato, non essendo vietato da alcuna normativa, è diffuso soprattutto nella coltura delle nocciole e della castagne, è in piedi da alcuni anni una dura battaglia per chiedere che questo tipo di prodotti venga messo al bando. Un discorso che riguarda anche l’uso di fitofarmaci, causa di tumori e malformazioni quali l’ipospadia. E che provoca effetti anche sul sistema immunitario.
La sentenza americana, con l’eco che sta producendo a livello internazionale e nazionale, potrebbe finalmente dare la spinta definitiva affinché anche a livello locale si arrivi a vietarne definitivamente l’impiego del glisofato. Almeno è quello che si augura chi in questi anni non ha mai smesso di fare opera di informazione.
In questa direzione si sta muovendo già la Regione Toscana, con il presidente Enrico Rossi: “Faremo subito un provvedimento per escludere dai premi del Piano di sviluppo rurale le aziende che ne fanno uso”. All’attacco anche Legambiente: “Chiediamo una svolta decisiva da parte del nostro Paese nel vietare in maniera definitiva e totale questo pericoloso erbicida” dichiara in una nota Angelo Gentili.
Ma la partita non è semplice. Quella sul possibile legame tra il glifosato e il cancro è una partita ancora aperta. Nel 2015 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha stabilito che il glifosato da solo “non presenta potenziale genotossico” e che “nessuna prova di cancerogenicità è stata osservata nei ratti o nei topi”. Stando all’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms (Iarc), invece, è stata constatata la presenza di “prove evidenti” di genotossicità e “evidenze sufficienti” di cancerogenicità per gli animali.