Troppo riluttante per essere considerato collaborativo. E’ questa, come riporta il Corriere della sera, l’idea che si sono fatti i magistrati di Luca Parnasi, l’imprenditore con interessi anche in provincia di Viterbo finito in carcere per corruzione nell’ambito dell’indagine sul nuovo stadio della Roma.
Le sue dichiarazioni non convincono i magistrati, che, ad esempio sul coinvolgimento di Michele Civita, uomo di Zingaretti, ritengono che ci sia ancora molto da scoprire. Non a caso anche se l’ex assessore è stato rimesso in libertà per lui permane la misura restrittiva dell’obbligo di firma. Al di là del posto di lavoro chiesto per il figlio, il sospetto è che ci sia dell’altro. A Parnasi il compito di raccontarlo, finora però non l’ha fatto.
L’imprenditore si è infatti limitato ad “ammettere fatti inequivoci e incontrovertibili” senza nulla offrire sotto il profilo della collaborazione. Per questo resta in carcere. Ad oggi, scrive la gip Maria Paola Tomaselli, come riportato dal Corriere della Sera, Parnasi “non risulta aver preso le distanze dal collaudato sistema corruttivo evidenziato nell’ordinanza di misure cautelari”. Non è tutto. Nel riepilogare le ragioni del no alla scarcerazione chiesta dagli avvocati, la gip finisce per descrivere un gruppo imprenditoriale che aggira il rischio d’impresa attraverso “il ricorso a pratiche illecite tramite le quali si costruisce il buon esito delle diverse operazioni imprenditoriali intraprese”. Il tema è quello della tangente impiegata come “polizza” contro eventuali ostacoli aziendali. Ma, per questa strada, si arriva alla totale illegalità: “Si assiste a una sovrapposizione dell’organizzazione criminale alla struttura societaria, stante la consapevolezza di Parnasi di agire fuori dagli schemi” è scritto nell’ordinanza.
La mancata disponibilità di Parnasi a far luce su una serie di fronti è riepilogata punto per punto. L’imprenditore si dimostra riluttante a chiarire il legame con Luca Lanzalone, non riferendo “nulla di significativo in ordine alla genesi e allo sviluppo del rapporto” che pure, sottolinea la gip, appare assai rodato. E nulla di significativo riferisce su Michele Civita, ex assessore regionale “d’importanza strategica in quanto uomo di Zingaretti”, al quale era stata sì promessa l’assunzione del figlio come contropartita dell’aiuto offerto al progetto stadio ma con il quale forse l’intesa era più ampia: “Il fatto che Parnasi – scrive la Tomaselli – fosse uso erogare finanziamenti a politici di tutti i partiti rende poco logico che egli non abbia beneficiato di un contributo economico un soggetto come il Civita al quale lo lega un rapporto così solido”. Manca qui, secondo la gip, il naturale prologo alla vicenda che li vede protagonisti. Così come mancano i dettagli circa il rapporto con Alfredo Palozzi, su cui Parnasi non ha offerto “significativa spiegazione”. E se le indagini dei carabinieri hanno confermato “un sistema amplissimo di relazioni e contatti, costantemente e talvolta freneticamente alimentato da Parnasi” per raggiungere i propri obiettivi, le decine ore di colloquio in carcere con i pm non hanno aggiunto granché.