Il piccolo bestiario dei serra-panunziani, con l’ausilio del megafono e del pomo della discordia, ogni giorno prova a raccontare menzogne su fatti noti a tutti per accreditare come vittime i carnefici.
Riassunto delle puntate precedenti: Panunzi, Serra, Sposetti e Trani, dopo aver perso in maniera schiacciante le consultazioni per la segreteria provinciale, rompono ed escono. Non concependo un Pd non guidato da loro ed un candidato a sindaco che non sia il loro, fanno due liste e si mettono fuori. Poi però, purtroppo, non vanno in porto le trame romane con Smeriglio e Zingaretti: Rossi va da solo, loro sono costretti a fare la stessa cosa, arrivano quarti e nessuno va al ballottaggio. Tutto mentre la Regione balla sotto il ricatto dei numeri che mancano e sotto il vento della bufera Parnasi. Zingaretti nel frattempo non può coltivare più i propri sogni, vuole fare il segretario nazionale, ma per ora resta Martina, il congresso slitta…
Bene, che fanno allora i nostri eroi? Pensano che è meglio rientrare nel Pd: meglio dentro – si dicono – che fuori da soli senza partito. Sono in preda al panico perché non si è avverato lo scenario rispetto al quale molti gli avevano garanzie a Roma, convincendoli che tanto “comandiamo noi, state sereni”. In questo quadro, interviene la giustizia interna che per fortuna è autonoma – non è mica la giustizia dei Cimini dove la legge la fa chi vince – ed applica le norme che avrebbero dovuto conoscere e lì espelle. A questo punto, presi dalla disperazione, fanno intervenire le vestali dell’ipocrisia, Trani e la Bonaccorsi: “Perché questo strappo? No… Non è giusto…”. Peccato però che si parli di strappo solo ora e non prima. Peccato che nessuno abbia evitato che si mettessero contro il partito. Peccato, sì, un vero peccato. E già: dov’erano le vestali dell’ipocrisia quando sono state fatte le liste per le comunali? Perché, dal momento che li hanno spalleggiati, non avvertono ora la necessità di tacere?
E vogliamo parlare di Zingaretti, che da candidato alla segreteria del Pd va a Monteromano e se ne torna via senza sentire la necessità di andare a sostenere il candidato del suo partito per non disturbare la sua corrente? Come fa oggi a dire che la sua candidatura al Nazzareno sarebbe contro le correnti? Come al solito, senza alcuna vergogna, una doppia morale.
“Non spacchiamo il Pd”, dicono oggi quelli che l’hanno spaccato per primi. Hanno veramente la faccia – si direbbe – come il culo. Invocano la politica, ma prima? Prima perché non l’hanno fatto? Dove stavano quando il segretario Melilli dissentiva dalle scelte fatte in Regione considerate irrispettose della volontà degli elettori? Perché lo ignoravano? Perché fecero finta di nulla quando intervenne per ricucire lo strappo di Serra e Panunzi, che, accecati dall’odio e dall’illusione di vincere, non hanno mai risposto alla sua mediazione? Oggi si chiede a Melilli di intervenire… intervenire per fare cosa? Per violare lo statuto e le regole?
La verità è che non ci può essere nessuna ricucitura senza le pubbliche scuse ed il ravvedimento operoso del padrone delle ferriere, il quale appare però sempre più iracondo e sempre più preoccupato (a vario titolo e su vari fronti). I sepolcri imbiancati distributori di menzogne devono capire perciò che le regole del partito, come la legge, vanno rispettate da tutti. Nessuno si può porre al di sopra di esse e il rispetto degli altri, di ciascuno, anche dei più umili, è sacro. Di queste punizioni, per arroganza del potere inflitti agli ultimi, ne parleremo poi, appena chi di dovere avrà finito di fare quello che sta facendo.