di Angelo Allegrini
Aldo Moro, oltre che politico e statista di altissimo rilievo, fu senz’altro un uomo profondamente religioso. Benché la sua religiosità è stata sempre nota, non tutti sanno invece che l’origine e l’impronta della sua fede discendevano dall’appartenenza al Terz’ordine Domenicano.
Nell’occasione della presentazione del saggio “Aldo Moro, una lezione di democrazia” scritto a due mani da Giuseppe Fioroni e Giovanni Iannuzzi, avvenuta il 9 maggio 2018 a Roma presso la sala conferenze di Unipegaso, un interessante intervento di padre Antonio Cocolicchio O.P., Promotore della Predicazione itinerante e delle Fraternite sacerdotali, ricordando le parole dell’assistente spirituale che lo seguì nel suo cammino terreno, ne ha descritto le caratteristiche salienti.
Intanto, un aspetto prevalente del pensiero moroteo che non si può non far risalire alla formazione domenicana è stata l’insistente sottolineatura, il costante richiamo, presente in quasi tutti i suoi discorsi e nelle sue riflessioni, al dovere.
Secondo padre Gregorio Maria Inzitari, il padre che favorì a Bari l’incontro con l’ordine domenicano, “Aldo Moro possedeva tutte le caratteristiche richieste dalla nostra regola perché un giovane potesse diventare domenicano. Amore allo studio, difesa della verità e coerenza nell’azione“.
Inzitari credette pure che Moro potesse seguire un percorso che lo portasse alla consacrazione sacerdotale ma la sua vera vocazione, così come fu pure per Giorgio La Pira, anche lui terziario domenicano che visse fino alla sua morte nella cella n° 6 del convento di San Marco a Firenze, era quella dell’azione politica .
In ogni caso Aldo Moro entrò nell’ordine come laico e rimase un terziario domenicano fedele e legato all’ordine fino alla fine.
Frequentava, a Santa Maria sopra Minerva, la Fraternita dei laici domenicani che si riuniva almeno una volta al mese; secondo le testimonianza dei confratelli si metteva in ultima fila e non interveniva mai, veniva soprattutto per ricevere le istruzioni del “direttore”, del padre spirituale che forniva la formazione religiosa che doveva poi riportare nella vita quotidiana e nella politica.
Dopo una breve preparazione, nel 1939, Moro fece la vestizione e ricevette un piccolo scapolare da indossare internamente al di sotto degli abiti; poi, nel ’40, intraprese la professione perpetua, la promessa formale di vita evangelica e di legame a vita con la regola di san Domenico assunta innanzi al maestro generale.
Secondo il padre Cocolicchio fu proprio lo stile di vita domenicano ad alimentare la spiritualità, la forma mentis aperta al consenso, il costante dialogo con gli altri che distinse il comportamento ed il pensiero di Aldo Moro; sicuramente illuminato da santa Caterina da Siena, patrona del terz’ordine, ma soprattutto da San Tommaso, per Moro la centralità della persona veniva prima di ogni altra cosa, come insegnava l’Aquinate e come poi ribadì il personalismo di Maritain e di Mounier tanto in voga nel cattolicesimo democratico italiano del secondo dopoguerra.
Per Moro l’umanesimo cristiano discendeva dall’opera di redenzione di Gesù Cristo e, nel solco dell’insegnamento di Tommaso, la società doveva servire ad organizzare i diritti ma non è la fonte del diritto: prima vi è la supremazia ontologica dell’uomo, creatura unica ed irripetibile; lo Stato è per l’uomo perché nulla vi è di più prezioso nell’universo di una persona umana tanto è grande la sua dignità e per i cristiani il fare politica vale come acquisizione della virtù, per raggiungere l’unione del diritto alla dignità.
Era – sempre secondo padre Cocolicchio – una visione tomista mutuata dal rapporto con La Pira ma anche, negli anni della FUCI, con mons. Montini, il futuro papa Paolo VI che si avvalse del domenicano padre Cordovani come Maestro del Sacro Palazzo.
Vita di studio, amore per la verità e predicazione (politica, secondo lo stato proprio del laico), furono dunque capisaldi indiscutibili nella vita del terziario domenicano Aldo Moro: fra’ Gregorio, all’interno della Fraternita.