Gli arresti di queste ultime ore gettano discredito sul Campidoglio e la Regione, anzitutto evidenziando la pesante inadeguatezza dei “nuovi” amministratori locali. Dopo Veltroni, attorno allo stadio della Roma si è sviluppata una ragnatela d’interessi poco trasparenti. In realtà, ad essere poco trasparente era e rimane l’operazione in sé, ovvero la costruzione di un mega-impianto sportivo in un’area urbana (Tor di Valle) molto delicata, con l’inevitabile aggiunta di cubature per attività commerciali e direzionali.
Un’analoga operazione fu tentata a ridosso dei mondiali di calcio del ‘90, sull’altra sponda del Tevere, alla Magliana, ma l’ostilità di un ampio schieramento politico e sociale (ambientalisti, comunisti, sinistra dc) riuscì a bloccarne la realizzazione, spingendo in alternativa il CONI ad assumere l’onere, coperto da fondi ad hoc dello Stato, della ristrutturazione e del rilancio dello stadio Olimpico. Con tutti i limiti, perché l’Olimpico è uno stadio concepito per l’atletica e non risponde ai canoni della moderna concezione impiantistica dei campi di football, si può dire che la scelta compiuta all’epoca ha retto egregiamente alla prova dei fatti.
Uno dei punti oscuri del progetto di James Pallotta, attuale patron della squadra giallorossa, impegnato in queste ore a disinnescare la bomba della Procura, sta nel mancato ridisegno della “città dello sport”. Che fine farà, appunto, la struttura dell’Olimpico? Dove collocare eventualmente lo stadio della Lazio? Come recuperare il Flaminio, pena il suo inarrestabile degrado? Come utilizzare gli spazi di Tor Vergata, ammesso che si proceda a trasformare la Vela di Calatrava in orto botanico? In sostanza, un intervento guidato da forti interessi finanziari, sotto la regia della banca Unicredit, immette il mondo dello sport nel circuito della urbanistica fantasiosa, senza pianificazione e senza valori di riferimento (a parte il valore da estrarre, speculativamente, da una vera e propria colata di cemento).
Ora, nel turbinio di una tempesta giudiziaria che investe gravemente le amministrazioni locali, c’è da chiedersi se non serva un drastico cambiamento di rotta. Mentre la città scivola nel degrado per le buche e l’immondizia, lo spettacolo di traffici “a tutto campo”, che solo i processi ci diranno quanto leciti e quanto illeciti, chiama in causa la responsabilità della politica. Le dimissioni della Raggi non sono più confinate nell’angolo dell’ordinaria polemica tra maggioranza e opposizione. Il problema è che l’opposizione stessa appare risucchiata nel gioco di compromessi deteriori. Per questo, se s’alza il vento del cambiamento, destinato a travolgere le fumose ambizioni pentastellate, è però improbabile che l’alternativa possa configurarsi come un’allegra marcetta trionfale del Partito democratico, non certo esente da errori e responsabilità.
Bisogna pensare ad altro e non in tempi biblici.
L. D.