Dopo l’arresto dell’ex assessore all’urbanistica Michele Civita, coinvolto insieme ad esponenti del M5S e Forza Italia in una presunta associazione a delinquere finalizzata a compiere reati contro la pubblica amministrazione, cresce l’imbarazzo in Regione nell’entourage di Zingaretti.
Si temono contraccolpi sulla maggioranza, che numericamente traballa dal momento stesso in cui è nata (su 51 sono 25, compreso il governatore, i consiglieri su cui può contare). I primi segni di cedimento potrebbero arrivare molto presto, quando cioè, a causa della legge Severino, il capo del governo notificherà il provvedimento con cui il prefetto disporrà il temporaneo allontanamento dei consiglieri finiti ai domiciliari (Civita e Palozzi di Forza Italia), che dovranno essere sostituiti con i primi dei non eletti nella loro circoscrizione.
Oltretutto, essendo Palozzi vicepresidente del Consiglio, rischia di rendersi necessaria una nuova votazione dell’ufficio di presidenza con tutti gli scenari che ne potrebbero derivare per quanto concerne la tenuta dei numeri.
Di fronte a questa situazione nel centrosinistra si tende per il momento a navigare a vista. Si punta sul fatto che l’inchiesta coinvolge tutti, indipendentemente dal colore politico (della serie mal comune mezzo gaudio), motivo per cui – pensano i maggiorenti delle forze politiche di area – nessuno in Consiglio dovrebbe accanirsi o lavorare per mandare anzitempo a casa il presidente. Ma siamo proprio sicuri che le cose andranno così?
Sicuramente, l’altro ieri, giorno degli arresti, l’intervento di Zingaretti arrivato in serata, dopo ore trascorse a cercare di capire cosa fosse successo e a studiare un’exit strategy comunicativa, lascia trapelare un livello di preoccupazione altissimo: “Confido nella magistratura – ha detto – e sono sicuro dell’innocenza di Civita”. Parole di circostanza dettate dalla necessità di rassicurare tutti all’esterno e all’interno per paura che il vento possa portare alla deriva la barca colpita senza che nessuno se l’aspettasse.