C’erano una volta 56 milioni di commissari tecnici della Nazionale. Il loro pulpito preferito era il bar – ovviamente dello sport – da dove predicavano e discettavano di formazioni, moduli e tattiche. Poi è arrivato Facebook e la faccenda è sfuggita un po’ di mano.
Oggi grazie ai social abbiamo 56 milioni di politologi, costituzionalisti, quirinalisti, retroscenisti. Per aprire bocca e dargli fiato non hanno più bisogno nemmeno di uscire di casa e di farsi correggere il caffè con la sambuca: basta il wi-fi.
In questi giorni abbiamo sentito ma soprattutto letto retroscemenze di ogni tipo, in particolare dopo che Mattarella ha avuto la malaugurata idea di mettere il veto su Paolo Savona ministro dell’Economia. Poteva risparmiarselo, il capo dello Stato, non tanto per come è finita la storia, quanto per lo tsunami di cazzate che ci avrebbe evitato sui social. Abbiamo visto umani che fino al giorno prima postavano foto di gattini lanciarsi in spericolate analisi politiche, sci-orinando commi e articoli della Costituzione (gettonatissimo il 92) manco fossero frasi di Osho (quello originale) e spiegando al colto e all’inclita come Savona fosse solo il cavallo di Troia di Salvini per far saltare il governo carioca, tornare alle elezioni e governare con Berlusconi. Profetici.
Già nei giorni precedenti, in verità, s’erano visti soggetti improbabili la cui massima espressione intellettuale su Facebook in questi anni era stata postare selfie con la bocca a culo di gallina o primi piani di piedi davanti al mare di Ladispoli, chiedersi dove diavolo fossero le coperture per il reddito di cittadinanza o per la flat tax. Quest’ultima probabilmente scambiata per la tassa sulla flatulenza. Che magari, in prospettiva, potrebbe pure servire a qualcosa: tipo a frenare gli incontinenti da tastiera e a tappare la bocca a qualche faccia da culo. Di gallina ovviamente.
Barbara Celarent