Tira una brutta aria in casa Milan, sono giorni delicati, delicatissimi e c’è il possibile rischio che quelli che verranno saranno anche peggio; mai una società Italiana si era trovata in una situazione così delicata, in special modo un club storico e prestigioso come quello rossonero.
Stavolta è stato il Diavolo a dover scendere a patti, contro un avversario ostico e intransigente come può essere la commissione Uefa.
Martedì scorso, l’organo amministrativo più influente del panorama calcistico europeo e, più precisamente, la camera di investigazione dell’Organo di controllo finanziario per Club Uefa, ha detto no al settlement agreement, ovvero la richiesta, da parte del Milan, di poter, patteggiare la pena, riguardante l’accusa della violazione delle norme del fair play finanziario e più nello specifico la violazione della regola del pareggio di bilancio.
Al Diavolo, dunque, han, momentaneamente, chiuso la porta in faccia, posticipando e rinviando il tutto a giudizio; il termine è fissato per il 15 giugno, giorno in cui la Uefa comunicherà le sanzioni, le quali, nelle peggiori delle ipotesi, potrebbero essere anche estreme, come una probabile esclusione dalle coppe, in questo caso, dall’Europa League.
La società potrà fare appello al Tas di Losanna, il comitato arbitrale dello sport, anche se quest’ultima ancora di salvataggio non sembra essere poi così rassicurante; in termini economici, infatti, la commissione Uefa segue rigidi e inflessibili parametri, sarà difficile perciò ribatterli.
Ma come si è arrivati a questa fase così delicata?
Tutto parte da quel il 5 agosto 2016, giorno in cui l’imprenditore cinese della porta accanto Li Yonghong firma un contratto preliminare con Fininvest per la compravendita del club pari al 99.93% e detenuta dalla stessa Fininvest, valutata 740 milioni di euro (valutazione che tiene conto di una situazione debitoria stimata in 220 milioni). Tra caparre rateizzate, closing rinviati e la comparsa della “Rossoneri Sport Investment Lux” (società veicolo lussemburghese facente riferimento sempre allo stesso Yonghong) il 49 enne originario del Guangdong opta, al fine di onorare gli impegni assunti verso Fininvest e quindi chiudere definitivamente l’affare, per la soluzione del prestito.
Arrivano 303 milioni da un fondo d’investimento americano gestito dalla Elliott Management Corporation, società che ha a capo il 327 esimo uomo più ricco degli Stati Uniti, Paul Singer. Ecco, è proprio su questo prestito che gira tutta la faccenda, perché per adempiere alla scadenza (il prestito dovrà essere restituito entro metà ottobre) il presidente Lì sta da tempo cercando un nuovo finanziamento, che alla fine, però, potrebbe essere concesso proprio dallo stesso fondo americano (nel caso di mancata restituzione del denaro) interessato ad un club prestigioso come quello rossonero e che ne diventerebbe quindi proprietario. Il Diavolo, però, ad oggi è considerato poco affidabile dalla Uefa, la quale vuole società durature in grado di permettersi e permettere una solida base economica e non fondi d’investimento che oggi rilevano e domani se ne liberano.
Insomma, per concludere, sembra che la gestione cinese abbia lasciato più ombre che luci, quello che doveva essere il salvatore della patria ora rischia di essere il suo carnefice, secondo la Uefa permangono incertezze sul rifinanziamento del prestito e sul rimborso delle obbligazioni da effettuare entro ottobre 2018; la commissione, come vi abbiamo detto, oltre a ritenere poco valido il piano presentato dal Milan, considera (ovviamente ) lo stesso Li poco affidabile, deve ancora completare l’ultimo aumento di capitale e non giudica sufficiente né la copertura fornita da Elliott né i ricavi prospettati dal club rossonero sul mercato cinese. Le sorti ma soprattutto l’immagine del club italiano più titolato al mondo ora sono appese al sottile filo che separa Milano da Nyon.
Gabriele Picone