La seconda lista di Filippo Rossi – Area civica – nei piani del suo ispiratore, Riccardo Valentini, doveva essere una sorta di pensatoio universitario e vi avrebbero dovuto trovar posto personaggi più o meno di spicco gravitanti nell’ambiente dell’ateneo della Tuscia, in cui l’ex consigliere regionale presta servizio come docente. Dentro ci sarebbero dovuti essere professori, ricercatori e via dicendo, tutti arruolati per prestare soccorso rosso al clan di Caffeina. Così era stato fatto trapelare e in effetti un po’ di curiosità per qualche giorno non è mancata.
Il progetto si dice che sia stato condiviso con lo stesso rettore Alessandro Ruggieri – che non ha mai smentito – e con il vice presidente della Regione Massimiliano Smeriglio, che però, non appena è stato “tanato”, ha dovuto per fair play istituzionale marcare un po’ le distanze. Ma le cose sono andate diversamente da quanto auspicato. Di professori dell’Università della Tuscia (quantomeno di gente nota) non si scorge infatti neanche l’ombra. L’unico nome che salta all’occhio (ma, badate bene, soltanto all’occhio dei più avveduti e del sindaco Michelini, che la conosce in quanto vivaista) è quello di Sofia Varoli Piazza – identificata oltretutto, neanche come professore, ma come architetto paesaggista – che non appartiene certo al gotha dell’ateneo visto che ha insegnato una materia, come dire?, non proprio di primaria importanza nei piani studio in vigore a Viterbo. Compaiono a dire il vero anche un professore ordinario e un paio di ricercatori, ma non risulta che siano nei ranghi della Tuscia.

La lista è composta inoltre solo di 22 persone, circostanza che fa sospettare che Valentini e Rossi abbiano trovato una certa difficoltà a reperire tutti i nomi che sarebbero serviti per completarla. Alla sua presentazione, nel corso di una conferenza stampa da Schenardi tre settimane fa, aveva non a caso destato qualche sospetto il fatto che si disse che quel giorno sarebbero stati svelati solo tre nomi, mentre gli altri, tutti molto importanti (sic), sarebbero stati fatti conoscere in seguito. Noi del Viterbese notammo che probabilmente si trattava di uno specchietto per le allodole, cioè si diceva apposta che c’era una lista di un certo tipo per indurre qualcuno a chiedere di entrarvi. Evidentemente non ci eravamo sbagliati. Evidentemente i pesci non hanno abboccato, o meglio: le allodole non si sono lasciate accecare dalla luce dello specchietto. Peccato che Valentini, quand’anche esperto di roba che ha a che fare con la vita nei campi, non abbia messo nel conto che le allodole di oggi non sono più quelle di una volta che si accontentavano di spizzicare qua e là quello che gli capitava.