di Cristian Coriolano
Goffredo Bettini, per anni alla guida della sinistra romana e dal 2014 impegnato a Bruxelles come europarlamentare del Pd, in un recente articolo su Huffington Post indica una prospettiva “radicale” per il futuro del suo partito e sembra, in questo modo, ornare di contenuti l’annunciata candidatura di Zingaretti alle primarie, destinate comunque a celebrarsi in un tempo più o meno ravvicinato. Da sempre, infatti, il vecchio guru della sinistra capitolina riveste la funzione di mentore nei riguardi dell’attuale presidente della Regione. Anche stavolta la linea prende forma attraverso un ampio ragionamento sulle possibili evoluzioni della scena politica.
L’intervento di Bettini è complesso, poco incline alla banalità dei luoghi comuni.In primo luogo, emerge la convinzione che il Pd non regga più, né sotto il profilo programmatico, né sotto quello politico-organizzativo. Di qui un’indicazione chiara: chi vuol fare Macron, in Italia, lo faccia pure; gli altri, se sono di sinistra, hanno il dovere di riordinare le idee di questa storica componente del panorama politico, senza reticenze o capziose distrazioni. Solo se la sinistra ritrova la sua anima, conserva le risorse e le motivazioni del suo possibile rilancio. Solo dopo, una volta chiarite le funzioni e le responsabilità dei “mondi vitali” del vecchio centrosinistra, potrà stringersi una virtuosa alleanza politica ed elettorale.
Bettini, in definitiva, avanza la richiesta di un profondo chiarimento sulla natura e le prospettive del Pd. La sconfitta del 4 marzo è dura, ma non come l’impotenza e lo spaesamento che ne sono derivati. Se ci fosse la capacità di governare la sconfitta, si avrebbe comunque la forza, nonostante il risultato negativo, di governare l’interlocuzione con il M5S. A questo, diretto e chiaro, mira il discorso dell’eurodeputato. Non per fare accordi di potere – egli dice – ma per contribuire alla tutela degli interessi generali del Paese. Anche Bettini, insomma, s’iscrive al “partito di Repubblica” e battezza gli sforzi per rimuovere gli ostacoli sulla strada di un’intesa di governo tra grillini e riformisti.
Ora, ma sé questa è l’indicazione non resta molto da dire e da fare per i cattolici democratici. Ovvero per coloro, dentro il Pd, assertori della buona ibridazione tra le culture democratiche del Novecento, tutte bisognose di purificazione e cambiamento. Il suggerimento di Bettini spinge a ritrovare fuori dai confini della sinistra, benché auspicabilmente rinnovata, il posto assegnato ai democratici di formazione e orientamento “popolare”. Essi devono pensare a nuove sedi di confronto e iniziativa, pronti a garantire con il loro impegno nuove prospettive di collaborazione, soprattutto in vista delle future battaglie elettorali dell’area riformatrice.
È tempo di chiarimenti, sì, ma non solo per alcuni. Ciò vale anche per i “popolari”, anzi in particolare per essi, dal momento che rappresentano fin dalle origini uno dei pilastri della pur fragile esperienza del Pd. Per il loro tramite è passata la concezione di un partito non più legato a una ideologia: dunque un partito, secondo le premesse, erede del Novecento e tuttavia affrancato dalle sue pesanti contraddizioni. Alla prova dei fatti questa generosa evocazione si è rivelata impropria, se non fuorviante. Lo attesta, per l’appunto, il crollo del 4 marzo. Bisogna prenderne atto con lucidità e coraggio.