Cristian Coriolano
Ci sono momenti in cui le finte verità perdono il loro fascino e si rivelano per quello che sono, vale a dire delle bugie. Il Paese assiste da settimane al balletto dei vincitori, non assoluti se presi separatamente, della prova elettorale del 4 marzo. Sì annusano, si telefonano, si citano a vicenda, benevolmente, ma non s’incontrano. Promettono di squadernare la soluzione del dilemma-governo senza però convenire, davanti alla pubblica opinione, sulle scelte politiche da mettere in campo. È sempre un balletto, benché tra due ballerini affiatati nonostante il breve tempo di preparazione di cui hanno potuto disporre.
Di Maio ha ripetuto più volte che oggi al Quirinale fornirà indicazioni più chiare sul percorso che intende seguire, qualora il Presidente della Repubblica gli conferisse l’incarico di formare il governo. Ciò nondimeno, il riserbo motivato da ragioni di protocollo istituzionale, attinenti al rispetto verso la figura del Presidente, non induce a pensare che possano essere fornite rassicurazioni sulla capacità di raccogliere il consenso necessario in Parlamento. In queste condizioni è difficile prevedere che Mattarella, poco incline a forzature di qualsiasi natura, ravveda i termini politici e costituzionali per il conferimento dell’incarico al giovane leader pentastellato.
In base alle sue dichiarazioni, tese a costruire l’intesa di governo con Lega e Pd, le possibilità di Susa essi sono pressoché inesistenti. Il tentativo, per altro, di affidare a un professore universitario il compito di redigere un documento che rappresenti la sintesi tra i programmi elettorali dei possibili alleati, sconfina nell’illusionismo. Può darsi che Mattarella apprezzi lo sforzo, come pure, a rovescio, che scorga in questa manovra un dato di furbizia inaccettabile.
Sta di fatto che Di Maio continua a muoversi nell’ottica di un rapporto privilegiato con la Lega, noncurante dei rischi derivanti da un connubio molto simile a una miscela di tipo “Trump-Chavista” (tanto per addizionare il neo-populismo americano con gli ottani della illiberale stravaganza venezuelana). Anche la pregiudiziale contro Berlusconi, ricondotta nell’ambito di una vigile precauzione in ordine al pericolo di immobilismo, finisce per costituirsi come ultimo alibi di una visione irrimediabilmente ostile ai parametri dell’Europa.
Un governo Di Maio-Salvini sarebbe un’altra picconata, dopo la Brexit, ai danni del Vecchio Continente. Se la Siria rappresenta il punto di massima tensione tra USA e Russia, l’Italia invece può diventare la piattaforma di entrambe queste potenze in funzione chiaramente antieuropea. Non è un quadro esaltante, neppure a voler concedere il beneficio della fiducia per un’evidente correzione di rotta all’indomani del 4 Marzo. Di Maio prosegue con leggerezza la sua danza sull’orlo di un burrone. Per certo agli italiani capiterà di accorgersene nei prossimi giorni, una volta dissipata la polverina dorata, più che abbondante, che ad arte ricopre la condotta dei Cinquestelle.