di Ugolino Conte
Giorno dopo giorno si assiste alla strana orchestrazione di voci disparate, ognuna con un pensiero vincente sul modo d’uscire dallo stallo post-elettorale, tutte interessate a scuotere il Pd dall’apatia determinata dalla linea di netta opposizione all’ipotesi di governo dei supposti vincitori.
C’è da dire però che proprio l’apatia, se tale debba essere considerata senza tema di errore, tende in effetti a restituire al Nazareno il senso di una funzione non estinta, all’incrocio di varie ipotesi di collaborazione “per il bene del Paese”. Vuol dire, insomma, che Renzi non ha torto ad esigere rigore in questa fase di evidente confusione. Quando Di Maio propone un’intesa con il Pd e/o con la Lega, come fossero tessere interscambiabili del medesimo mosaico, attesta platealmente il livello d’incertezza del dibattito politico.
Di certo, in questo esordio di legislatura, il punto fermo appare proprio il “silenzio operoso” di Renzi, capace, pur facendo scena muta, di battere il tempo della danza attorno al Quirinale. Una maggioranza sulla carta esiste, se si accozzano tutti i pezzi dell’universo populista; ma se fosse, il Paese scoprirebbe cosa produrrebbe, in breve tempo, l’allegro materializzarsi dell’avventurismo.
Dunque, l’ostacolo è Renzi. Un ostacolo, secondo un avversario interno sempre esplicito (se non brutale), che andrebbe affrontato con molta più decisione. “Nel partito non c’è né strategia né tattica, l’ex segretario ripete solo ‘stare all’opposizione’ ma non è un ragionamento“. A dirlo, appunto, è Ugo Sposetti: lo stesso che all’indomani del 4 marzo aveva attribuito l’elegante qualifica di “delinquente” al segretario appena dimissionario. Nessuno ha reagito. E pure questa si configura come una stranezza, dal momento che Sposetti tutto è meno che un gentiluomo di corte, dotato di spirito cavalleresco e serenamente assiso sul trono della Dea purezza.
Non si tratta di essere renziani, visto che un’analisi politica richiede sempre, in ogni sede e circostanza, una sano distacco critico. Tuttavia, l’esorbitanza di chi mena vanto del proprio pedigree antirenziano, usato come scudo per nascondere un passato di genio guastatore del fortilizio Pci-Pds-Ds, dovrebbe essere perlomeno contrastata. Con garbo, sicuramente, a differenza dello stile sposettiano; non al punto, però, di accreditare (con il troppo garbo) una linea d’indifferenza, ovvero di supina accettazione. Sebbene Renzi possa essere additato, non a torto, come il responsabile numero uno del tracollo elettorale, non può accollarsi l’onta di un’accusa degna di giustizieri da Far West, con il classico “wanted” impresso sulla foto di riconoscimento.
Per chiudere in leggerezza, si dovrebbe riconoscere che dopo una sconfitta tra compagni di partito insorge un sentimento ben diverso da quello degli sposi, se felici. Tuttavia, vivere male e con reciproco fastidio, non conviene. Sposetti? Peggio che sposi tristi e rissosi.

